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giovedì 23 giugno 2016
Anno VIII n. 25
Ordinazione
presbiterale in Cattedrale il 25 giugno
È in libreria Due
soldati, graditissimo nuovo libro di Mino Milani che ritorna al romanzo
storico con una vicenda ambientata negli anni della Grande guerra cui in
passato aveva dedicato La fine della battaglia. In quell’opera ormai
introvabile, il conflitto mondiale faceva da sfondo alle vicissitudini del
sottotenente Dario Crespi "schierato a Nord di Gorizia con il compito
di conquistare ad ogni costo Quota 270". Nel volume appena pubblicato
da Effigie la “Grande guerra che scoppiò nell’agosto 1914 e all’inizio
l’Italia ne restò, fuori” è invece la protagonista. Il libro si legge tutto
d’un fiato e le vicende dei personaggi s’intrecciano con gli eventi della Prima
Guerra Mondiale. Tralasciando di seguire «solo» il filo rosso che lega la vita
e il destino di Giuseppe, Marco e Cesarina, offriamo alcuni flash per dar conto
in che modo lo scrittore pavese, in poco più di un centinaio di pagine,
descrive la Grande guerra. Milani fa subito rivivere il rovente clima politico
e sociale in cui interventisti e neutralisti “cominciarono a discutere e
sempre con più forza” se entrare in guerra o rimanere fuori e cioè tra
coloro che sostenevano la necessità che “bisognava finire il lavoro dei nostri
vecchi” e quelli invece che “volevano evitare l’inutile massacro”.
Così come sulla scia dell’euforia per aver finalmente dichiarato guerra
all’Austria e l’illusione che “sarebbe durata poco”, Mino Milani annota
che “nessuno pareva ricordare che la guerra durava già da nove mesi; e che
in Francia, in una sola battaglia, c’erano stati già trecentomila soldati
morti, feriti o dispersi”. Ed ancora dopo aver sottolineato in che modo “quella
specie di fiammata che s’era accesa in tutto e dappertutto dopo il 24 maggio,
s’era spenta” e preso atto che “la guerra non era stata vinta, come in
molti s’erano attesi”, lo scrittore ricorda come con l’arrivo delle notizie
della morte dei propri cari portate delle autorità alle famiglie (“quando
vedevano il povero sindaco camminare verso questa o quell’altra casa e bussare
alla porta, gli uomini tacevano cupi, e le donne si facevano il segno della
croce”) iniziò a farsi largo tra la gente la percezione che “non sarebbe
stata una passeggiata”. Il tormentato cammino Marco nel prendere coscienza
dei suoi doveri di figlio, uomo e cittadino, sintetizza bene in che modo maturò
e prese forma la volontà di riscossa degli italiani. Nel narrare i momenti in cui
Marco prende la decisione di partire volontario per onorare la memoria del
padre morto durante una missione tra le trincee nella terra di nessuno, Milani
dà più spazio al racconto degli eventi bellici descrivendo la battaglia del
Passo Carmine dell’ottobre 1916 dove “s’era combattuto durissimamente per
cinque giorni”, offrendo spaccati di vita di trincea, rievocando la
disfatta di Caporetto con la disastrosa ritirata e la scia di morti, feriti e
sbandati, fino alla rievocazione della battaglia del Piave del 21 giugno 1918 “con
la quale gli austriaci cercarono di passare il fiume” ma “gli italiani
resistettero e la guerra la vinsero loro”. Senza moralismi o mistificazioni
e con la consueta maestria nel narrare le passioni, i sentimenti “non di
eroi ma di normali uomini”, Mino Milani in Due Soldati fa capire
bene i motivi e le ragioni per le quali “la guerra tira vecchi tutti, anche
quelli che non la combattono”. Vorremmo in chiusura ricordare le belle e
forti parole che lo scrittore pone in epigrafe al libro dedicato alla memoria
di suo padre che ha combattuto “nella Grande Guerra come tenente del V
Reggimento Alpini, Brigata Spluga” e “a tutti quelli, ragazzi o uomini,
che non cantano nel coro”. Citando Berthold Brecht, «Beati i popoli che
non hanno bisogno di eroi», Mino Milani scrive - e a ragione - che sono “sventurati
i popoli che hanno bisogno di eroi e s’accorgono di non averne”.
Mino Milani
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